In settimana ho avuto modo di chiacchierare con alcuni di voi circa un momento particolare della Storia di Como¹ e mi è venuto in mente che forse potrebbe interessarvi un #pippontoot a tema.
Siete pronti? Mettetevi comodi che partiamo. Destinazione: anno millecento e qualcosa.
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¹ https://livellosegreto.it/@LaVi/110660696276983542
Iniziamo subito col dire perché "anno millecento e qualcosa", perché quando si tratta di Storia le datazioni certe sono importanti. Ma questa storia va avanti per anni e anni, con guerre, vendette, battaglie, sofferenze e miserie e tanto, tanto sangue sparso sulle terre che si affacciano sul lago e nelle stesse acque coloratesi del cupo rosso della morte in battaglia.
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La Storia, poi, non è un elenco di date e avvenimenti, ma un lungo, incessante susseguirsi di cause ed effetti che procede dalla notte dei tempi, in cui le scelte e l'agire di singoli individui possono tracciare il destino di intere popolazioni. Le date e gli avvenimenti sono solo le pietre miliari lungo questo cammino intrapreso dall'umanità.
E allora indichiamola, questa pietra miliare, e diciamo che siamo a Magliaso e l'anno è il 1118.
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In questa piccola località, oggi parte della Svizzera affacciata sul Lago di Lugano, venne fatto prigioniero dai comaschi il vescovo di Como, Landolfo da Carcano, appunto nel 1118, dando così origine alla guerra, destinata a durare un decennio, tra Como e Milano.
Se questa cattura fu il casus belli, però, in realtà i rapporti tra le due città erano tesi già da tempo: come dicevo prima, la Storia è tutto un susseguirsi di causa-effetto.
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E no, non mi sono sbagliata: furono proprio i comaschi a catturare il loro vescovo. Perché Lanfredo da Carcano era milanese ed era stato designato dall'imperatore Enrico IV, che sostanzialmente se n'era fregato dell'opposizione manifestata dal clero e dalla popolazione di Como. A questo punto è forse bene ricordare che all'epoca i vescovi erano di fatto signori locali, che disponevano di terreni, denari, milizie.
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Como, che si sentiva città libera e come tale aveva iniziato a organizzarsi, con corporazioni ed elezioni, mal sopportava le imposizioni milanesi e questa del vescovo Landolfo fu la proverbiale goccia: saputo che l'uomo, discendente di un'antica famiglia longobarda, aveva di fatto comprato la dignità vescovile, i comaschi in armi gli impedirono l'accesso in città e lo costrinsero a rifugiarsi nel castello di Magliaso.
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Qui però Landolfo, forte della protezione imperiale, usurpò svariate prerogative della chiesa di Como, infeudò parecchi diritti e si comportò come vescovo, nonostante i comaschi avessero eletto a tale carica Guido Grimoldi da Cavallasca, nel 1096, e infischiandosene sia dell'accusa di simonia sia della scomunica lanciata su di lui nel 1098. I comaschi, pazienti ma non ciula, alla fine passarono alle maniere forti, catturandolo nel 1118.
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Da un lato i comaschi, forti della loro ricchezza conquistata col commercio e orgogliosi della loro indipendenza comunale, dall'altra i milanesi, che non volevano perdere potere e faccia, e che avevano già da anni intrapreso una politica d'espansione, conquistando Lodi. Come scrisse il Verri, "...dopo avere in tal modo rovinato i Lodigiani, ci siamo rivolti a danneggiare i Comaschi"¹.
La guerra era ormai inevitabile. E, inevitabilmente, scoppiò.
¹ Pietro Verri, "Storia di Milano"
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#Storia
La prima battaglia infuriò nella piana di Grandate e vide distinguersi "il molto valoroso Adamo, anche Pero detto, colpisce gli impetuosi nemici, esorta i compagni"¹ e fu un combattimento aspro e senza tregua: "Del sudor l'onda fluisce sulle intrise membra, Ovunque nei polverosi campi il sangue scorre".
¹ ancora oggi a Como vi è una strada dedicata ad Adamo del Pero
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Come avrete certamente capito, la cartina geopolitica dell'epoca era ben diversa dall'attuale: Milano era piccola, poco più estesa dell'odierno centro, e cercava di espandersi; Como aveva forti legami con la Valtellina e si estendeva in alcune aree dell'attuale Canton Ticino. E il lago? Il lago era costellato di borghi e pievi. Tra queste, Pieve d'Isola, che da tempo mal sopportava la sudditanza a Como.
Ora la guerra le offriva un'opportunità.
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Consapevole del fatto di non poter contrastare da sola Como, pur parteggiando per i milanesi, l'Isola - il cui territorio iniziava a Colonno e si estendeva fino a Ossuccio e Lenno, strinse alleanze con altri borghi del lago. Milano, intanto, chiese ed ottenne uomini in armi da Mantova, Cremona, Bergamo, Brescia, Verona, Vercelli, Asti, Novara, Parma, Bologna e Ferrara, grazie alle promesse dell'imperatore e dell'antipapa Bordino.
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Nell'anno 1120 abbiamo dunque la città di Como alleata con la Val d'Intelvi, la Val Chiavenna e la Valtellina, Milano alleata con... mezzo nord Italia 😅, incluso il ramo lecchese del lago, e Pieve d'Isola alleata con Menaggio, Gravedona, Bellagio e Nesso.
Basta un'occhiata alla cartina https://graficheincomune.comune.milano.it/graficheincomune/immagine/Busta+K+1 per farsi un'idea della situazione.
Inaspettatamente, però, la battaglia navale che imperversò sul lago vide tornare i comaschi vittoriosi in città.
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Non intendo qui ripercorrere tutte le sanguinose tappe di questa guerra che si protrasse per dieci lunghi anni e che terminò il 27 agosto dell'Anno del Signore 1127, quando i Consoli comaschi uscirono dalle mura di Vico per recarsi alle tende dei milanesi, a giurare i termini della resa.
I vincitori, però, non onorarono i patti sottoscritti e solo pochi giorni dopo presero a distruggere case e mura. Quello che non bruciava, venne abbattuto.
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Per tanti, lunghi anni i comaschi furono costretti a una dura sudditanza a Milano, ma nella città la tristezza lasciò presto il posto all'orgoglio e quando l'imperatore Federico I Hohenstaufen, detto il Barbarossa, scese in Italia i Consoli comaschi gli esposero la drammatica situazione in cui versava la città, pregandolo di liberarli.
I milanesi, però, non vollero sentir ragione e ignorarono le richieste imperiali, evitando persino di presenziare alla Dieta di Roncaglia del 1158.
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Seguirono altri anni di battaglie e massacri, il 26 marzo del 1162 il Barbarossa entrò a Milano e lasciò che le città che ne avevano subito il dominio partecipassero alla distruzione: il quartiere di Porta Orientale fu demolito dai lodigiani, Porta Romana dai cremonesi, Vercellina dai novaresi, Ticinese dai pavesi e Porta Nuova da quelli del Seprio e della Martesana.
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Anche Como, sempre rimasta fedele all'imperatore, ebbe la sua vendetta distruggendo Porta Comasina e nel febbraio del 1169, certa non soltanto dell'appoggio imperiale ma anche delle fortificazioni che il Barbarossa aveva fatto riedificare nel frattempo, decise di prendersi la propria vendetta ai danni dell'odiata Isola. Canonici e monache, come anche gli isolani, furono costretti ad abbandonare quel luogo, migrando a Varenna e a Sala Comacina.
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Appena l'isola fu sgombra, i comaschi presero a distruggere ogni edificio, gettandone le pietre nel lago per impidirne la riedificazione. Venne risparmiato solo il tempietto di San Giovanni Battista.
E dopo la furia distruttrice venne il monito del vescovo di Como, Anselmo della Torre: "Non suoneranno più le campane, non si metterà pietra su pietra, nessuno vi farà mai più l'oste, pena la morte violenta".
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Ancora oggi, nella notte di San Giovanni (o nel fine settimana più vicino), si svolge la sagra a lui dedicata e "si dà fuoco all'Isola", con una spettacolare esibizione pirotecnnica che illumina cielo e lago, a monito e ricordo di quanto avvenuto.
Intanto il Castello Baradello, che più volte ospitò il Barbarossa e che da luo venne fatto riedificare e donato alla città, domina e vigila su Como.
Grazie per avermi seguita fin qui, buona serata.